Attenzione, rispetto, verità: intervista a Massimo Tecca
Con lui abbiamo parlato del ruolo del telecronista.
Segni particolari: sobrio, coinvolgente e coniatore dell’espressione “che bellezza!”. È il profilo di Massimo Tecca, uno dei pionieri di Sky Sport che dal lontano 2003 monopolizza con i vari Fabio Caressa, Massimo Marianella, Riccardo Trevisani e Maurizio Compagnoni il palinsesto calcistico con le sue telecronache. Del suo stile per certi versi atipico e dell’evoluzione del suo mestiere nel corso di questi anni abbiamo avuto il privilegio di parlarne direttamente con lui.
Buongiorno Massimo, partiamo con una serie di domande riguardanti quella che è stata la tua vita e il tuo lavoro. Sei in questo mondo da ormai una quarantina d’anni, in che modo è cambiata nel corso degli anni la telecronaca?
La telecronaca è cambiata con la tecnologia e con la specializzazione. Più telecamere, più voci coinvolte, più attenzione alle “specifiche” dei calciatori. Lo spettacolo si è arricchito, a volte di orpelli (penso agli infiniti replay o ai dettagli quando la palla è in gioco), a volte di dettagli eccezionali per capire e interpretare meglio quello che accade in campo. Il prodotto si è evoluto col passare dei tempi e con i miglioramenti tecnologici, dalla linea del fuorigioco alle telecamere piazzate ovunque. Occorre reggere il confronto ma non è facile, a volte si vede meglio da casa (magari su un bello schermo gigante) che allo stadio dove il sole, uno che ti passa davanti, i riflessi sui monitor rischiano di compromettere il lavoro. Non basta più neanche pronunciare nome e cognome di chi calcia il pallone ma cercare di arricchire la conoscenza, parlare delle caratteristiche, del suo inserimento in quella squadra. Arricchire il racconto ma senza appesantirlo. E in questo è fondamentale il lavoro della “spalla tecnica” o seconda voce che non deve mai sovrapporsi al telecronista ma diventarne il complemento ideale. Un lavoro di squadra che è fondamentale per la buona riuscita del prodotto.
Ti sei sempre distinto per uno stile piuttosto lineare e senza grossi cambiamenti di tono. A volte non può risultare più facile coinvolgere lo spettatore aumentando il volume della voce?
Non mi piacciono gli urlatori. Li trovo eccessivi e smodati, fuori registro e fuori contesto. Si può anche aumentare il volume della voce (capita anche a me), esaltarsi per una bella giocata o un gol spettacolare, ma sempre mantenendo un tono adeguato. Si può anche urlare: ma per l’Italia che vince i Mondiali, non per un calcio d’angolo. Protagonisti sono gli atleti, noi siamo dei testimoni. E per raccontare – pur mantenendo un’enfasi necessaria, altrimenti chi è davanti alla tv si addormenta- non c’è bisogno di strillare. Non credo sia uno stratagemma per diventare più popolari o accaparrarsi un numero più alto di spettatori, penso invece risalga al carattere di ciascuno. Se entro in una casa che non è mia, busso e chiedo permesso, non faccio irruzione buttandomi sul divano e chiedendo cosa c’è da bere. Noi entriamo in molte case e dobbiamo farlo con garbo.
Il direttore di Sky cosa vi dice di evitare assolutamente durante le cronache?
Non ci sono grandi raccomandazioni sull’argomento. Anni fa fu proposto di bandire termini bellici, “guerra”, “bombe” e via dicendo, in realtà già lo facevo da anni. Credo sia fondamentale evitare tutti i luoghi comuni, frasi fatte (e spesso vuote) che ci portiamo anche dentro inconsciamente se non altro perché le sentiamo ripetere da anni, e provare ad imporre un linguaggio “nostro”, riconoscibile, il più discorsivo e colloquiale possibile.
La telecronaca nel 2016 non rischia di sovrapporsi alla radiocronaca a livello narrativo-descrittivo?
Sono due sport completamente diversi. Quindici-venti secondi di silenzio in radio sono un’eternità, in tv sono una pausa accettabile. Il rischio c’è ma sta al senso di misura del telecronista evitare di correrlo. Quindi parlare un po’ di meno, sfruttare il dono della sintesi (perché dire “tiro alto sopra la traversa?”, basta “alto” no? Sarà chiaramente sopra la traversa…), far sentire anche i rumori di fondo dello stadio, il pubblico, magari allenatori e giocatori quando capita. Fondamentale capire quando e in che modo fare delle pause, non “soffocare” l’ascoltatore di parole. Anche le statistiche i dati su circostanze e giocatori vanno selezionate e offerte al momento giusto senza voler buttarle dentro per forza. Equilbrio e misura sono ingredienti fondamentali.
In un’era in cui grazie alla tecnologia e social tutti possono sapere tutto di tutti, cosa può proporre un telecronista per elevare il suo livello?
Competenza, passione, un tono di voce che sia coinvolgente e accattivante, oltre a uno spirito di squadra indispensabile con i colleghi coinvolti nello stesso evento. Senza dimenticarsi che il suo primo impegno è quello di raccontare ciò che accade e che i protagonisti sono quelli che si muovono sul campo. Chi ha la fortuna di raccontare un evento sportivo non deve limitarsi a fare il compitino ma trasmettere la sua gioia e il suo entusiasmo a quelli che lo seguono. Senza esagerare, come ho già detto.
Come si deve porre un giornalista rispetto ai social e al suo popolo, che di fatto hanno reso la comunicazione molto più “orizzontale”?
Attenzione, rispetto, verità. Con i social (che considero in assoluto una grande invenzione) tutti parlano di tutto, a volte non va bene: mancano controlli e filtri, spesso appaiono notizie false, vere e proprie bufale che dovrebbero essere stoppate prima. Il giornalista deve avere il senso della misura e della responsabilità in quello che scrive, mantenere un rapporto corretto, etico e serio sia verso gli altri che nei confronti della notizia, non cedere al sensazionalismo o all’esagerazione. E’quello che cerco di fare con chi ha la bontà di seguirmi sui social.
Qual è la telecronaca di cui vai più orgoglioso e quella che invece vorresti non aver mai fatto?
Le tre finali di Champions League dal 2001 al 2003 (l’ultima è stata quella del Milan vittorioso a Manchester sulla Juve), ma in assoluto la semifinale del Mondiale 2006 vinta dalla Francia sul Portogallo a Monaco di Baviera è quella che ricordo con più piacere. Fu il coronamento di un Mondiale bellissimo. Al contrario vorrei che non fossero mai esistite Catania-Palermo del 2007 e Pescara-Livorno del 2012, due ferite ancora aperte e incancellabili per la tragiche scomparse dell’ispettore Raciti e di Piermario Morosini. Non li ho mai conosciuti personalmente ma sarebbe bellissimo svegliarsi e potersi sedere a bere un caffè con loro ancora vivi , come se non fosse mai successo niente".
Passiamo a qualche domanda sul calcio giocato. Cosa ti aspetti da questa Serie A?
"Più gioco, più fiducia nei giovani, meno polemiche e vittimismo, la crescita di realtà come il Sassuolo che ha indicato una strada da seguire. Più che un’attesa è una speranza, magari dura da veder realizzata…Vorrei che ci fosse pure equilibrio nella lotta-scudetto ma credo sia quasi impossibile".
Roma, Napoli, Inter: quale sarà sul lungo termine la vera rivale della Juventus nella corsa per lo scudetto?
"Credo fermamente nel Napoli. Le altre soffrono tutte di discontinuità. Perso Higuain, De Laurentiis ha costruito una squadra ancora più ricca di alternative, piena di giovani di talento, una squadra che metterà a frutto il lavoro dell’anno scorso e migliorerà tantissimo sia in Italia che in Europa.
Chiudiamo con la nazionale: in base anche alle sue recenti dichiarazioni, cosa dobbiamo aspettarci dall'Italia di Ventura?
Dopo un Europeo di lotta e sofferenza (ma pochissima qualità) vorrei semplicemente rivedere una squadra in grado di giocare al calcio, divertire e far risultato. Magari chiedo troppo, però mi piacerebbe vedere l’Italia di giocatori come Bernardeschi, Verratti, Insigne, Berardi e gli altri che verranno sulla loro scia, giocatori di qualità, talento, fantasia, che facciano “ri-innamorare” gli Italiani della loro Nazionale. L’esclusione di Berardi per motivi tattici mi ha spaventato. Ma sono sicuro che Ventura tornerà sui suoi passi e non rinuncerà alla bravura di Berardi.
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