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- di Vincenzo Ricchiuti

Dybala meccanica


La rubrica si chiama: "peternorman". Tutto piccolo. Perché piccolo? Potrebbe scivolare lungo i muri. Si occuperà di donne e Giro d'Italia. C'è anche il calcio, per obbligo contrattuale. Perché "peternorman" ? E' quello che nella foto di Messico'68 non guarda nessuno. Nel corso degli anni è diventato un eroe. Per Gianni Mura bisogna addirittura "sforzarsi di non guardare i due a testa bassa, il pugno chiuso alzato in un guanto nero, calze nere e niente scarpe, sul podio. Bisogna concentrarsi sull’atleta di sinistra, bianco, lo sguardo dritto, le braccia lungo i fianchi". E' riuscito persino, dei 3 del podio di allora, a farsi portare in bara dagli altri 2. Ad arrivare primo alla fine, lui che era arrivato secondo all'inizio.Eppure la sua era una famiglia di macellai. La rubrica si chiama "peternorman". Carne ed eroi. Chi la finisce per primo, è un peso per gli altri.


A fine gara Allegri farà finta di rimproverarlo. Lui, per un tacco in più. La squadra per le solite magagne, l’autocontrollo dei momenti di pausa di una Juve idealtipica che non deve perderlo, il controllo, mai. Dybala ieri sera nel dopo gara in parte se n’è fregato. Queste sono parole buone per le tv che le pagano, non hanno più alcun rilievo nella realtà e riferimento alla sostanza. La Juve d’inizio stagione, quella sperimentale che cercava di sopravvivere, imparare a vivere e imparare a imparare, quella si che aveva bisogno di questo teatrino di ruoli. Allegri nella parte di Mangiafuoco che capitalizza e Grillo parlante che non si fa ammazzare dalla prima ciabatta che vola. I giocatori, Pinocchietti pieni di fantasie ma pure de coccio. Quella si che voleva tutto questo oramai stanco lallare.

La Juve di oggi, stasera, domani, domenica no. Il copione se c’è è finto perché le vittorie son vere. Tacco contro rimbrotto non è più vita in diretta. Ma mantra ai limiti della scaramanzia di questa Juve primavera ed italiano medio, calma ed orgasmo, testa per colpi di testa. Inzaghi ha detto, gara in equilibrio perché nel primo tempo s’è avuto noi il possesso del pallone. Poi l’espulsione e allora.

Questo è uno.

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L’altro è Spalletti. Che viene dalla Russia come Putin da scongelare, tutto rivoluzione e classe operaia ma senza la classe di Totti. Alla fine guardatelo com’è ridotto. Squadra, schemi, collettivo, sacrificio: concetti, astrazioni. Alla fine è lì, esiliato dal successo di tutti che è sconfitta di lui solo.

Perché il calcio è Totti, Dybala. Non l’allenatore, non l’utopia di creare una meccanica dentro due calci a un pallone. Non la smentibile bugia, se il pallone ce l’ho io siamo pari io che non tiro e tu che potresti farmene 4. I valori che dovrebbero animare questi castelli di numeri e schemi (sempre gli stessi, sempre lo stesso pagato ogni volta di più, triangolo-cross), quelle paroline ketchup tipo gruppo solidarietà e prevedibilità che dovrebbero rassicurarci (guarda cara, anch’io potrei guidare la partita, 2+2 fa 4 e goal), che dovrebbero farci sapere come va a finire.

I valori, gli allenatori, i MontellaSousaSarriegoal che ci siamo sorbiti, noi ed Allegri, quando tutto era da fare ma tutto si doveva rifare, tutti dietro. Tutti hanno perso. Uno solo ha vinto. Il calcio di sempre con l’allenatore anti allenatore, i Dybala come pistoni, le ovvie scemenze dette per finta. Il calcio relax & travet di questa Juve media e orientale.


 

 

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Napoli, 23/03/1970. Non è legato agli anni '70, è che pensa che nulla cambi più di tanto. Ha avuto una querela da Balotelli e un fake su Twitter. Con gli anni è diventato una icona gay.

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