
- di Filippo Galeazzi
Contro Roberto Mancini
"E cazo, sarà mica sempre l’allenatore qua che deve pagare!"
Così Alberto Malesani in una conferenza stampa ormai oggetto di culto e venerazione per molti, tra cui chi scrive. Certo, è complesso e doloroso mettere in discussione i propri punti di riferimento, ma a volte è necessario farlo. Le stelle polari brillano e ci indicano la strada, Alberto Malesani ha sicuramente contribuito ad illuminarmi la via, come un un faro guida i naviganti nella nebbia.
Oggi però il cielo è terso, e mi sento di azzardare, osare a tratti: Mancini deve pagare, pagherà caro, e pagherà tutto.
Mario Sconcerti, sul Corriere della Sera di qualche giorno fa, descriveva così: "C’è nel progetto come un'assenza snob, come se niente fosse mai all’altezza del tecnico. Questo è stato credibile, perfino fascinoso, per oltre un anno. Ora comincia a essere sospetto. È tempo che cambi anche Mancini. Un tecnico non è bravo di per se stesso, è bravo se fa giocar bene la sua squadra. E l’Inter gioca male. Per risolvere il problema, bisogna farci entrare per forza anche Mancini".
Ora, a me crea certamente qualche problema condividere il pensiero di uno che si fa appellare “dottor Sconcerti” in diretta tv, pur non essendolo, effettivamente, dottore. Perché sì, gli italiani sono un popolo di poeti santi e dottori, ma non dovrebbe poter valere sempre tutto, e quindi giuro che questa è la prima e l’ultima volta che mi troverò a sedere dalla stessa sponda del fiume in compagnia del Marione nazionale. Anzi no, quello è Balotelli. Sì, lo so a cosa state pensando.
L’insopportabile tecnico di Jesi però deve pagare, dicevo. Delle sanzioni dovrebbe riceverle a prescindere, per quelle orribili sciarpette colorate che veste (spero che qualche tribunale internazionale ad hoc si sia già mosso in tal senso, ne va dei principi fondamentali alla base delle democrazie occidentali).
La responsabilità maggiore di Mancini è, però, quella di non essere ancora oggi riuscito a dare un gioco a questa Inter. Aggravante non trascurabile, il fatto di avere alle sue spalle una società che ha investito su di lui (letteralmente, con 4 milioni è il tecnico più pagato della serie A, ndr) e ha deciso un anno fa di metterlo al centro di un progetto, assecondando di conseguenza ogni sua richiesta nelle ultime tre finestre di mercato.
Una squadra costruita su indicazione del tecnico jesino, tanti nuovi innesti, molti dei quali arrivati con la formula del pagherò. Pagherò, sì, o forse no, perché l'obiettivo minimo su cui si regge in parte questo progetto, la Champions, è oggi più lontano. Il ritorno della Roma e della Fiorentina, nonché i flebili segnali di vita del Milan di Mihajlović, oggi a -4 dai cugini, non fanno ben sperare il Mancio, né il suo presidente, i cui sonni sono turbati, oltre che dai risultati sul campo, anche dai conti societari.
Se lo dice la Gazzetta...
4-3-3, 3-5-2, 4-4-2 classico, 4-3-1-2, 4-2-3-1, 4-5-1. Niente. Anche dopo aver esplorato a fondo l'almanacco dei moduli di formazione, l'allenatore non ha ancora trovato un'identità tecnica per la sua Inter. Nella prima parte di stagione, nonostante un Mancio altamente sperimentale, la squadra aveva sopperito ad una latenza di gioco facendo affidamento ad un'apparente solidità di spogliatoio che si rifletteva in una solidità in campo che, unita ad un Handanovič in gran spolvero, aveva permesso ai nerazzurri di stare davanti a tutti.
Fino a Inter-Lazio del 20 dicembre scorso. L'intervento killer di Felipe Melo (altro elemento voluto fortemente dall'allenatore) abbatte in simultanea Milinković-Savić e i sogni scudetto dell'Inter. Negli spogliatoi i nervi si fanno tesi, volano parole forti - stando a quanto riporta la stampa - tra Mancini e Jovetić, tra Melo e Icardi. Mi avvalgo, a caso, della licenza poetica e dico che la sensazione è che l'Inter, quella della prima metà di stagione, da quello spogliatoio non ci sia mai uscita, è ancora lì, che litiga, probabilmente col pacato Melo che attacca qualcuno al muro. Da quella sera di dicembre la squadra inizia a perdere serenità, fiducia e concentrazione, con i risultati che non arrivano più.
Le condizioni per non andare a carte quarantotto e vanificare tutto il lavoro fatto finora ci sarebbero. L'ex mister del Manchester City è chiamato ad una prova di forza, che il suo ruolo gli impone: riportare tutti alla calma (e qui CR7 lo spiega bene) e all'ordine, per salvare il salvabile, nello specifico il terzo posto. Manco per niente, negli ultimi due mesi il Mancio perde la testa e si lascia travolgere dagli eventi. Gli scarsi risultati della sua squadra vanno di pari passo con un susseguirsi di diverbi televisivi, diti medi in bella mostra e parole fuori posto (e chi afferma che il tecnico nerazzurro sia una persona elegante - un signore, qualcuno dice in preda evidentemente a qualche delirio - chiedo di non dormire col fiasco di rosso sul comodino).
E per quanto gli insulti alla Calcagno siano sempre cosa buona e giusta (Mikaela dovresti però anche iniziare a chiederti perché sei la conduttrice più bistratta di sempre. Conduttrice, giornalista non me la sentivo), l'impressione è che Mancini non abbia più il controllo della situazione. In alternativa ci si può godere la parodia di Crozza.
Martedì scorso in Coppa Italia (l’unica che giocano i ragazzi, regalando così ai propri tifosi più tempo per il cinema in mezzo alla settimana), dopo due mesi di ferie non giustificate (ma pagate), si è rivista in campo una squadra che gioca a calcio. Fuoco di paglia o rientro in careggiata? Scatto di orgoglio da attribuire esclusivamente ai giocatori o, complice anche un tocco di un Mancio rinsavito e con di nuovo le redine della sua squadra tra le mani?
In entrambi i casi ora si aspetta maggio, ma l’auspicio è quello di vedere scorrere del sangue. E quello di Roberto Mancini sacrificato su pubblica piazza mi regalerebbe soddisfazioni forti, non lo nascondo.
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