
- di Redazione Sportellate.it
Spalletti-Totti: c'eravamo tanto amati
Paul Geràldy disse saggiamente che “il più difficile non è il primo bacio, ma l'ultimo”. Nessuno però avrebbe immaginato che sarebbe stato così complicato e sofferto l’ultimo atto tra Francesco Totti e la Roma. La sua Roma. Come se non bastasse, la rottura è avvenuta con l’allenatore con cui ha vissuto uno dei periodi più felici della sua carriera.
Per analizzare il rapporto tra Totti e Spalletti, occorre fare un tuffo indietro nel passato, e tornare alla stagione che li avrebbe legati indissolubilmente: il 2005-'06, vero turning point per la carriera di entrambi. L'allenatore di Certaldo (reduce dal miracolo con l'Udinese), al primo anno sulla panchina giallorossa si trova catapultato in una realtà tutt'altro che semplice: la squadra nella sciagurata stagione precedente, quella dei quattro allenatori, si era salvata solo alla penultima giornata. In aggiunta a questo, la società, già in fase di ristrettezze economiche dopo i fasti del passato, era impossibilitata ad operare sul mercato a causa di un blocco della FIFA per l'affare Mexes. Tanto per non farsi mancare nulla, lo stesso Spalletti venne accolto con grande scetticismo da tutta la piazza, tra tifosi che chiedevano il ritorno di Zeman (corsi e ricorsi storici, ndr), e volantini di protesta che recitavano "Sampdoria…Serie B, Venezia… Serie B. Con questo passato nessun futuro, no a Spalletti".
L'avvio non fu dei più semplici, anche se con qualche risultato decisamente degno di nota, come il 2-3 con il quale la Roma tornò a vincere a Milano dopo oltre 10 anni. Nonostante le premesse, però, Spalletti fu in grado, dopo qualche mese di assestamento, a trovare la quadratura del cerchio. E ci riuscì con un'intuizione che permise di valorizzare al meglio il giocatore di maggior talento della sua rosa: Francesco Totti. Neanche a dirlo.
Totti-Spalletti: l'innamoramento
L'amore sbocciato tra Totti e Spalletti, e probabilmente anche tra i tifosi giallorossi e l'allenatore, ha una data ed un luogo ben precisi: 18 dicembre 2005, stadio Ferraris di Genova (sponda Samp) 16a giornata di andata del campionato di serie A. Montella e Nonda sono infortunati, Cassano è fuori rosa e destinato alla cessione, visti gli atteggiamenti totalmente in contrapposizione con l'etica spallettiana. Spalletti si trova orfano di un centravanti. Forse è proprio la mancanza di rispetto dei "right behaviours" di Cassano, la stessa che adesso viene imputata a Totti dopo l'intervista al TG1, a lanciare il capitano giallorosso nell'inedito ruolo di unica punta. L'allenatore vara così un 4-2-3-1, con il pupone "falso nueve", anticipando di qualche anno l'exploit del termine sdoganato dall'epopea barcelonista, che allungherà la carriera del più importante giocatore della storia della As Roma.
Andando verso i 30, infatti, Totti avrebbe fatto sempre più fatica a ricoprire il ruolo di fantasista alle spalle delle punte (non è un caso che Capello già dal 2003 lo avesse avvicinato maggiormente alla porta). Nel nuovo sistema di gioco ha la stessa libertà di svariare, ma è più svincolato da compiti difensivi. Alle sue spalle agiscono Taddei, Tommasi (Mancini dalla gara successiva) e soprattutto Perrotta, un mediano che grazie ad un'altra felice intuizione del tecnico toscano si trasformerà in un anomalo e tremendamente efficace trequartista, data la sua capacità di inserirsi negli spazi. Il tutto sfruttando le giocate di Totti, ovviamente.
La gara termina in parità (1-1), ma dal match successivo la Roma inanellerà una serie di 11 vittorie consecutive (record ancora imbattuto per il club), frutto di un calcio rapido e spettacolare. Le ultime due della serie sono ottenute senza Totti (infortunato, si riprenderà a tempo di record per vincere il Mondiale), addirittura con Taddei centravanti. Ormai Spalletti è lanciato verso quell'idea che "il centravanti è lo spazio".
Il 4-2-3-1 made in Spalletti.
Nonostante l'infortunio, il rapporto tra il capitano e l'allenatore si cementa sempre più. Al termine del derby vinto per 2-0, quello dell'11a vittoria di fila, il tecnico organizza una "pizzata" a casa di Totti. La simbiosi tra i due è totale: il calcio spettacolare della Roma si basa sulla presenza del numero 10 lì davanti, che rende impossibile per gli avversari avere punti di riferimento. L'assenza di Totti rallenta la rincorsa della Roma, che ottiene comunque un ottimo 5° posto, che diventerà secondo in seguito al terremoto di Calciopoli.
Nelle stagione che segue, il 4-2-3-1 giallorosso raggiunge la sua definitiva consacrazione a livello nazionale ed europeo. Totti, tornato vittorioso dal mondiale 2006 (come De Rossi e Perrotta), decide di lasciare la nazionale e dedicarsi solo alla Roma. Con due viti nel ginocchio a causa del grave infortunio subito appena qualche mese prima, cambierà il suo stile di gioco, sapientemente guidato dal suo allenatore. Meno strappi, meno rapidità, più fisicità e potenza. Meno incursore, più testa di ponte che apre gli spazi grazie alla sua visione del calcio paranormale.
Vita nuova, vecchie abitudini: il cucchiaio.
Tra il 2006 e il 2008 la Roma vive due annate indimenticabili. Arriveranno due secondi posti, due quarti di finale in Champions League, due trionfi in coppa Italia, uno in supercoppa. Per i tifosi, un calcio da lustrarsi gli occhi, nonostante le difficoltà economiche della società. Per Totti arriva il titolo di capocannoniere della serie A 2006-'07 e contestualmente la Scarpa D'oro, grazie alle sue 26 marcature, a certificare la nascita di un "nuovo Totti", che si gode una seconda giovinezza in barba agli infortuni.
Totti-Spalletti: il logoramento
L'ottimo rendimento dei capitolini non passa inosservato fuori dallo stivale. Oltremanica, in particolare, si vocifera di un interessamento del Chelsea, che deve sostituire Avram Grant dopo la sfortunata sconfitta ai rigori nella finale di Champions League. Nella torrida estate del 2008, mentre sono in corso i campionati europei, Spalletti incontra la dirigenza dei blues. Alla fine non se ne fa nulla, ma qualcosa si incrina soprattutto nel rapporto con i due leader giallorossi, Totti e De Rossi, che si sentono traditi.
È in quell'estate che qualcosa si rompe, forse irreparabilmente, nel rapporto tra l'allenatore e il suo capitano.
La Roma ha appena sfiorato uno scudetto e la voglia di rivincita è grandissima. L'ex mister dell'Udinese però sente l'esigenza di cambiare, temendo che dopo 3 anni lo stile di gioco giallorosso sia ormai diventato prevedibile per gli avversari. Chiede un centravanti di peso alla società, vuole qualcuno che possa riempire l'area per fare il definitivo salto di qualità e vincere l'agognato scudetto, convinto del fatto che l'enorme mole di gioco della Roma possa essere valorizzata ancora di più con un finalizzatore di razza.
Il capitano, col desiderio di mantenere la sua centralità nel progetto, caldeggia invece l'acquisto di Mutu, che proprio una prima punta non è. Da qui nasce lo sfogo di Spalletti con i suoi amici più fidati, secondo il quale "Totti vuole fare il giocatore, l'allenatore e il direttore sportivo". È impressionante notare come queste considerazioni siano tornate attuali oggi (“vuoi fare il giocatore, Giggs o Nedved?”), e come la questione del centravanti sia stata risolta solo 7 anni dopo con Dzeko. Della Valle blocca in extremis la partenza di Mutu, spaventato dalla possibile reazione della piazza, ed alla fine nella capitale (nell'unica stagione con Spalletti in cui si sia fatto veramente mercato) arrivano Julio Baptista e Menez, giocatori lontani dalle richieste dell'allenatore.
Il brasiliano, malgrado i suoi colpi estemporanei, non ha i tempi né la capacità d'analisi per essere un trequartista, poco votato alla fase difensiva per essere un centrocampista e soprattutto troppo poco "bomber" per essere una prima punta; il francese è un anarchico smaccatamente selfish e quindi decisamente inadatto al calcio associativo del suo allenatore.
Tra equivoci sul mercato, tensioni estive, un'eccessiva voglia di rivalsa per la beffa della stagione precedente ed un rapporto non più idilliaco tra i senatori dello spogliatoio (Pizarro escluso) e la loro guida, la stagione 2008-'09 inizia malissimo, per poi terminare con un malinconico sesto posto. Una delle poche note positive è il primo posto nel girone eliminatorio di Champions League (prima volta nella storia per il club), lasciando dietro anche il più quotato Chelsea.
È di fatto l'ultimo anno di Spalletti alla Roma, visto che lascerà dopo sole due partite (ed altrettante sconfitte) nella stagione successiva, complice anche un mercato ai limiti dell'imbarazzante (quello del "progetto Zamblera"). È il 30 agosto del 2009, la Juventus di Ferrara (!) espugna l'Olimpico 3-1, e nella conferenza stampa post-partita si vede uno Spalletti completamente diverso. Perde l'equilibrio, forse per la prima volta in oltre 4 anni, batte i pugni sul tavolo e dà vita all'ormai celebre sfogo "il tacco, la punta" nel quale viene difficile non cogliere anche qualche riferimento a Francesco Totti.
Il dado era tratto...
Comunicherà poco dopo le sue dimissioni, e saluterà commosso Roma e la Roma (rinunciando a ogni compenso economico). Il suo addio genererà reazioni contrastanti nella piazza, ma costituisce uno dei primi casi in cui nel triticarne romano a prevalere sembra essere il dispiacere e non la rabbia o la gioia per la fine di un rapporto.
La squadra quell'anno con Ranieri tornerà a spiccare il volo (anche grazie ai retaggi del gioco spallettiano, secondo chi vi scrive). E gli ottimi risultati sotto la guida del Condottiero testaccino porteranno Totti ad ufficializzare pubblicamente la fine dell'idillio col suo ex-allenatore: "Non riusciva più a farsi capire (Spalletti, ndr). Ormai qualche problema con il gruppo c'era e le sue dimissioni erano inevitabili. E visti i risultati ottenuti con Ranieri, direi che ne è valsa la pena". Un anno dopo, ricevuti i complimenti dal capitano per la conquista del campionato russo alla guida dello Zenit, Spalletti coglierà l'occasione per replicare "lo ringrazio, ma poteva dire qualcosa di meno quando sono andato via'.
Già c'eravamo tanto amati.
How did we get there?
La nuova proprietà americana, in Italia ormai da 5 anni, non ha mai fatto mistero di ispirarsi al modello-Juventus (quella attuale, non quella di Blanc-Secco o della triade Moggi-Giraudo-Bettega). Sono sempre stato convinto che anche nella politica su Francesco Totti si volesse (furbescamente) in qualche modo ricalcare quella adottata dai bianconeri con Alessandro Del Piero: salutare la propria bandiera al termine di un trionfo, di modo da rendere un addio (comunque doloroso) meno indigesto alla piazza ed all'opinione pubblica. L'incapacità della Roma di vincere un singolo trofeo in questo periodo ha reso impraticabile questa opzione, già di per sé complicata dall'immarcescibile classe di Totti. Ci si è dunque affidati alla speranza che fosse il calciatore a decidere per il suo ritiro, non tenendo conto del fatto che dopo una vita (24 anni) interamente dedicata alla causa, dire "basta" per dedicarsi al golf o nella migliore delle ipotesi lavorare dietro una scrivania potrebbe non essere una scelta facile per l'uomo.
Da tifoso della Roma ed amante del buon calcio, non ho mai smesso di sperare in un ritorno dell'allenatore di Certaldo sulla panchina dell'Olimpico. Convinto sia dalla ragione, visto l'eccezionale lavoro svolto a Roma in condizioni non proprio facilissime, dalla capacità di trarre il meglio da una rosa non certo stellare, come dal cuore, per l'attaccamento dimostrato. Mai però avrei pensato che questo potesse avvenire con Francesco Totti ancora nella rosa giallorossa, data la frattura tra i due ed il periodo storico non proprio semplice sia per la Roma che per il suo capitano, ormai da tempo ai margini.
Della diatriba degli ultimi giorni tra i due si è discusso abbondantemente. Ognuno ha senz'altro le sue ragioni, ma per quanto umanamente la situazione di Totti possa dispiacere, di certo in questo caso è stato Spalletti ad agire per il bene della squadra. Far passare il comportamento del numero 10 avrebbe significato giustificare anche gli altri calciatori della rosa ad indire conferenze stampa e rilasciare interviste senza nessun controllo. Insomma, avrebbe portato all'anarchia, o nel caso contrario al favoritismo. Le scelte tecniche spettano, nel bene e nel male, all'allenatore. E per quanto possa essere doloroso affermarlo, in uno sport dominato dall'intensità e dalla necessità di ogni singolo di lavorare per il collettivo, la presenza in campo di Totti non può più essere scontata. E non certo da quest'anno.
Però l'Olimpico è con il suo capitano...
Quello che sfugge da ogni logica è la totale assenza della società nella vicenda. Le avvisaglie perché si arrivasse a questo punto di rottura erano evidenti, ed i problemi sul piano contrattuale erano presenti anche prima dell'arrivo di Spalletti. Con una Roma aveva appena ritrovato risultati, gioco e serenità, l'intervista a cuore aperto di Totti sul primo telegiornale Rai poteva e doveva essere evitata, oppure occorreva porre rimedio alle questioni aperte prima che diventassero di dominio pubblico. Una volta che la "frittata" è stata fatta, inoltre, nessuno dei dirigenti ha pensato a porvi rimedio, lasciando il tutto in mano ad un allenatore già chiamato a fronteggiare numerosi altri problemi causati da un mercato lacunoso, una rosa fisicamente mal preparata e con il morale a terra (almeno fino a qualche settimane fa).
Se il compito dei dirigenti è quello di tirar su la testa solo quando si tratta di ricevere applausi, tanto vale iniziare a tagliare i costi di gestione (decisamente alti) della Roma, terminando i loro contratti.
Data la colpevole assenza dei dirigenti, per l’happy ending, ancora una volta, non possiamo che affidarci a quei due, Totti e Spalletti. E a quel dolce ricordo di 10 anni fa.
Andrea Giachi
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