29 Ottobre 2015
7 minuti

Sebastian Giovinco: the Italian Avenger


Domenica 25 ottobre 2015 Sebastian Giovinco ha scritto un piccolo grande record nel libro del calcio italiano, divenendo il primo calciatore della penisola a vincere il “Golden Boot”, riconoscimento tutto made in USA (per i quali nemmeno il calcio può sfuggire alla loro ossessione di scovare l'mvp stagionale), che premia il miglior marcatore della regular season. D'altro canto in quel di Toronto la Giovinco-mania è scoppiata fin dal giorno del suo approdo nel paese della foglia d'acero: contagerà di nuovo anche noi qui in Italia, al punto da tentare un clamoroso ritorno?


22 gol (di cui 18 di destro, 4 di sinistro, 5 su punizione e 3 da calcio di rigore), 16 assist e 62 occasioni create in 32 partite giocate. Sono i numeri della nuova impresa di Ant-man, che sta infiammando il soccer stars and stripes. Solo che Ant-man non è quello che tutti al di là dell'Atlantico conoscevano già da tempo, ovvero l'eroe nato dalla matita di Stan Lee per conto della Marvel Comics: è invece un ragazzotto di 28 anni proveniente da Torino, che di mestiere gioca a calcio a Toronto, città canadese la cui squadra partecipa alla MLS, il massimo campionato nordamericano.

Stiamo parlando ovviamente di Sebastian Giovinco, che come tutti sanno da gennaio ha lasciato la serie A per approdare in MLS. Una scelta certamente sui generis, che non ha affatto lasciato indifferenti (come non lo ha fatto del resto l'ingente ingaggio che il Toronto gli corrisponde), ma che al momento sta ripagando la scommessa. Probabilmente oltre ogni più rosea aspettativa.

Una presentazione-trailer di un film Marvel è di certo un omaggio concesso finora a pochi...

Giovinco infatti, da quando è atterrato in America, ha subito una vera e propria metamorfosi pressoché inimmaginabile: ovvero passare da grande incompiuto a fenomeno. Perché in Canada lui non è un calciatore normale, è una supernova dalla luce abbagliante, di cui non si sono mai rivestiti neppure i totem del calcio USA Landon Donovan e Clint Dempsey.

A vedere i suoi numeri è oggettivamente difficile riconoscere in lui quel giocatore che, nella sua migliore stagione italiana, il 2011-'12, ha segnato 15 gol in 36 partite (score di tutto rispetto, ma non certo da cannoniere di razza) che, sommati ai 7 della stagione precedente, fanno 22 in 66 gare spalmate in due anni di serie A con la maglia del Parma (numeri che lo issano al 9° posto della classifica marcatori dei ducali nel massimo campionato). Proprio così, 22 reti in 24 mesi, le stesse realizzate in una sola stagione americana (peraltro non conclusa), che sono valsi la Storia per la Formica Atomica e il suo club, qualificatosi ai play-off per la prima volta dal 2007, anno dell'ingresso della franchigia in MLS.

Ciò che però sorprende di lui va oltre le fredde cifre: è semmai l'impatto, anche culturale se vogliamo, che ha avuto l'attaccante classe '87 sul campionato americano di calcio che lo rende un calciatore unico per i tifosi yankee. Che di grandi calciatori ne hanno visti prima di Sebastian, basti ricordare Beckham, Henry, i newyorkesi Lampard, Villa e Pirlo, lo stesso Nesta in Canada per i Montreal Impact, o addirittura i grandissimi Chinaglia, Cruijff, Beckembauer e Pele, stelle dell'ormai preistorico campionato NASL.

Piccola parentesi: segnaliamo anche la presenza in MLS di un Drogba in formissima, in grado di segnare proprio contro il Toronto di Giovinco due gol COSÌ...

https://youtu.be/7_He11XvQM4

Tutti però agli sgoccioli di un'infinita carriera, confluiti in questo campionato - che è (o dovremmo dire era?) una sorta di cimitero dorato degli elefanti - buono giusto per qualche comparsata ben remunerata. L'ex Juve in comune a queste leggende ha solo un ricchissimo conto in banca e nient'altro: la formica atomica infatti è forse la prima star europea a giungere nella MLS all'apice della sua carriera da calciatore professionista, quando era ormai stufo di stare a guardare quanto son bravi e forti Tevez e compagnia.

Un giocatore decisivo, determinante, di quelli che sposta gli equilibri. Ovvero ciò che prometteva di essere già durante gli anni nelle giovanili della Juventus, con tanto di scudetto Primavera conquistato nel 2006 da protagonista, e che saliva prepotentemente alla ribalta nell'Empoli di Gigi Cagni, il primo e finora unico Empoli europeo che poteva contare su un altro gioiellino bianconero di nome Claudio Marchisio. La vera star però era questo piccolo giocatore coi suoi 162 centimetri (fonte wikipedia) intrisi di tecnica e dribbling in velocità. Capace oltretutto di cose così.

Empoli-Roma, 2-1 per gli ospiti. Calcio di punizione da posizione defilata, 90° minuto. Mi risulta davvero difficile trovare una descrizione per questo: godetevelo e basta.

Gol (6 in totale) che non valsero niente di più che un 18° posto con annessa retrocessione per i toscani, ma che fecero ingolosire la Juventus, che richiama alla casa madre la sua stellina, destinata a divenire il vero erede della bandiera Alex Del Piero, nella Juve come in nazionale, della quale è punto fermo ai giochi olimpici di Pechino 2008, insieme a Giuseppe Rossi (che la spedizione cinese abbia portato un po' sfiga?).

Il rapporto con la Vecchia Signora però è catulliano, di amore ed odio: se da una parte l'amore per la squadra della sua città per la quale ha sempre tifato e che lo ha allevato durante le giovanili non si discute, l'odio per ciò che ci si aspetta da chi veste quella maglia monta sempre più forte, per lui che non è Del Piero, né Trezeguet né nessuno dei campioni bianconeri con cui divide lo spogliatoio (specialmente non ha le loro spalle forti). Seba non resiste alle pressioni e non riesce a mantenere le promesse, al punto che la frustrazione prende in lui il sopravvento. I numeri dicono 4 centri in 46 partite in bianconero tra il 2008 e il 2010, prima del biennio parmigiano, e poi altre 16 segnature in 83 presenze (2012-'15) una volta consumato il ritorno.

Il segreto per fargli tornare il sorriso? Chiedergli del derby col Toro!

Nulla da fare: Sebastian è il classico studente volenteroso, che si applica ma non riesce ad andare oltre alla sufficienza. Troppo poco per un'accademia prestigiosa come quella juventina, dove storicamente vengono a laurearsi i migliori calciatori del mondo. Quindi mentre i vari Tevez, Llorente, Morata, Vucinic giocavano sempre e bene, prendendosi le prime pagine dei giornali, Seba finiva ai margini, in quell'oscuro limbo delle eterne promesse che non sbocciano mai, come razzi ai quali si sono inumidite le micce e che di conseguenza non possono esplodere.

Pronto ad appartenere al gruppo di quei tantissimi per i quali valgono le parole di Danny DeVito in Big Fish, capolavoro di Tim Burton: “Tu eri un grosso pesce in una piccola pozza; ma questo qui è l'oceano, e ci stai annegando”. È proprio per questo che, continuando con le analogie cinematografiche, è facile immaginare il procuratore Andrea D'Amico esultare come Leonardo Di Caprio all'inizio di Titanic quando arriva l'offerta del Toronto. In un momento in cui la carriera di Giovinco era al classico bivio fra guadagnare tanto e restare in una grande come la Juventus, ma giocando poco e niente; oppure resettare la propria carriera e diventare un giocatore da provinciale in Serie A, giocando tanto e magari tornando a segnare attorno alla quindicina di gol come a Parma, ma con un ingaggio drasticamente ridotto.

Proprio in questo frangente cruciale piove quell'inimmaginabile compromesso che di nome Toronto: 7 milioni di euro a stagione (oltre il triplo di quanto percepito in bianconero) e un posto da titolare garantito in un campionato sì minore, ma con tanta voglia di crescere: Ce ne andiamo in America! Full Sebastian!

Il Giovinco versione 2.0, quello made in USA, è ciò che mai in Italia è riuscito ad essere: sarà anche per le difese più malleabili, figlie anche di una diversa interpretazione che hanno gli americani rispetto a noi europei dello sport in generale, che è show e intrattenimento innanzitutto, per cui ben vengano errori da matita blu delle retroguardie a favore di tanti gol e tante partite da over 2.5; ma non possiamo negare come la mezza punta torinese abbia saputo calarsi alla perfezione in questa realtà, quasi cucitagli su misura. Un ambiente con zero pressioni, dove Seba può giocare tranquillo. Ed ecco che Sebastian, come logica conseguenza di una serenità mai avuta in quel di Torino, può ritrovare quella fiducia che si traduce in prestazioni sfavillanti, stop con sombrero, passaggi filtranti di tacco e numeri da parco giochi. Ma soprattutto spensieratezza e sorriso sulle labbra, troppo spesso assenti durante la sua militanza juventina.

Signori e signori: "The atomic ant" Sebastian Giovinco. Al netto di difensori che, se sulla panchina ci fosse stato Mazzone, probabilmente avrebbe inseguito fin sotto la curva dell'Atalanta e anche oltre, la classe dell'ex juventino è indiscutibile.

È uno che, come i nostri bisnonni migranti di inizio secolo scorso, è andato in America e che nella terra delle grandi opportunità ha saputo giocarsi le sue carte e fare finalmente fortuna. E come molti dei nostri antenati, non prenderà più il “bastimento” che lo riporterebbe in Europa, nel cosiddetto calcio che conta.

Perché dovrebbe tornare a casa, dove sarà sempre visto da club e tifosi con quello scetticismo che sembra dire "eh, ma in America sono buoni tutti...", memori di quando era un pesce di pozzanghera che annegava nell'oceano? Perché retrocedere e tornare ad essere uno dei tanti, quando ha finalmente trovato la strada verso la gloria (seppur diversa da quella che ogni calciatore a inizio carriera immagina), in una terra dove ora è una traslazione di Lionel Messi a stelle e strisce - a proposito, secondo la bombarola stampa catalana, il Barcellona pare abbia pensato a lui per il mercato di gennaio - ? No Seba, per il tuo bene resta dove sei e non tornare in Europa, dove non c'è un posto per il Giovinco 2.0 e tutto ciò che adesso rappresenta.

Esiste una sola possibilità affinché Giovinco torni nel vecchio continente: questa estate la formica atomica dovrebbe fare il percorso inverso della Statua della Libertà, che fu donata nel lontano 1876 agli Stati Uniti proprio dalla Francia. Impresa non impossibile, ora che il web avvicina anche realtà fino a 15 anni fa irraggiungibili come la MLS, e ci fa gustare praticamente in contemporanea le prodezze del soccer oltreoceano e della sua stella più luminosa in particolare: e poi sulla panchina della nostra nazionale c'è Antonio Conte, suo dichiarato estimatore e suo coach anche durante la sua ultima esperienza juventina.

E che mai lo ha perso di vista da quando è c.t., come dimostra anche la recente convocazione per le sfide con Azerbaigian e Norvegia...


 

  • Nato per puro caso a Caserta nel novembre 1992, si sente napoletano verace e convinto tifoso azzurro. Studia Medicina e Chirurgia presso l'Università degli studi di Napoli "Federico II", inizialmente per trovare una "cura" alla "malattia" che lo affligge sin da bambino: il calcio. Non trovandola però, se ne fa una ragione e opta per una "terapia conservativa", decidendo di iniziare a scrivere di calcio e raccontarne le numerose storie. Crede fortemente nel divino, specie se ha il codino.

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