
- di Raffaele Campo
#TeamShaqiri
Dopo i botti in entrata, per l'Inter è tempo di cessioni. In pole position c'è Xherdan Shaqiri, l'esterno alto all'occorrenza trequartista, ormai tagliato fuori dai piani di Mancini. E' destinato allo Stoke City. Ma stiamo davvero parlando dello stesso giocatore arrivato 7 mesi fa come il salvatore della patria, che oggi si appresta invece ad uscire mestamente dalla porta di servizio come un Kharja qualunque? La risposta la sappiamo tutti. Ecco perché per chi scrive privarsi di "Shaq" sarebbe un autogol clamoroso. Un errore da rosso diretto.
Sembra trascorsa un'era geologica in effetti da quando, la sera dell'8 gennaio 2015, era sbarcato a Malpensa quel piccolo grande uomo, basso di statura ma dal fisico scolpito nel granito. L'aeroporto letteralmente in delirio pareva il prologo di un lungo idillio amoroso. D'altro canto, si sa, quando si compiono grandi investimenti (per la cronaca, 16 milioni di euro), le aspettative schizzano alle stelle. E con questi presupposti anche la love story sulla carta più indissolubile può troncarsi di netto.
Foto d'epoca: Shaqiri abbracciato a Mancini.
Perché Shaqiri, dopo un buon inizio, è finito inspiegabilmente ai margini della rosa nerazzurra. Fino alla gara pre pasquale contro il Parma, l'elvetico aveva giocato titolare spesso e volentieri, figurando costantemente tra i migliori giocatori malgrado il contesto poco accomodante. Tuttavia, per un motivo che noi comuni mortali non conosceremo mai, da quella "maledetta" gara, non solo per il risultato finale (1-1 contro i ducali avviati verso il fallimento), il fantasista classe '91 non ha praticamente più visto il campo. Morale della favola, in 6 mesi, tra campionato, Europa League e coppa Italia, ha racimolato 20 presenze (di cui appena 12 dal 1') e 3 reti, una per ogni competizione.
Sull'albanese naturalizzato svizzero, il tifo nerazzurro si è spaccato: c'è chi, come il sottoscritto, ritiene folle questa scelta del Mancio di scaricare un giocatore così importante, e chi invece difende l'ex allenatore del City con commenti quali "Shaqiri non ha entusiasmato", "Shaqiri non ha di certo fatto faville" oppure "Shaqiri non è poi così forte... figuriamoci se il Bayern vende i suoi migliori giocatori". E dire che persino il Pallone d'Oro 1990 Lothar Matthaus, in una recente intervista, ha dichiarato che nemmeno lui riesce a spiegarsi il perché di questo ostracismo del tecnico di Jesi verso il "nano magico". "Mancini lo voleva, poi non ci punta. Se fossi un investitore, chiederei conto all'allenatore: perché hai fatto una cosa del genere?".
Il Forrest Gump de noantri. Dico io, ma come si fa a non puntare su un testimonial così?
Senza dimenticare che il folletto classe '91, soltanto 12 mesi fa, veniva da un mondiale a dir poco strepitoso con la Svizzera. E non soltanto per la tripletta rifilata all'Honduras (non proprio noccioline comunque). Tanto per fare un esempio "irrilevante", whoscored.com indica l'ala offensiva come il calciatore che ha completato più passaggi chiave a partita (4,3) di tutta la rassegna iridata. E senza dimenticare poi che dopo il torneo brasiliano, si erano interessate a lui anche Juve, Roma e Liverpool.
E poi che attore...
Dal momento che la difesa e il centrocampo dell'Inter - fatti salvi i soli Medel e Santon, quando ha giocato - erano pressoché impresentabili, cosa poteva fare l'ex Basilea? Giocare per otto persone? In più d'un occasione, come per esempio a Reggio Emilia nella disfatta contro il Sassuolo (3-1 per i neroverdi) o in casa contro il Toro (1-0 per i granata), lo svizzero ha provato a caricarsi la squadra sulle spalle. Il problema è che predicava nel deserto. Nel vero senso della parola. Movimento incessante su tutto il centro-destra, nella vana speranza di creare un'occasione nella trequarti avversaria. Ma nessuno lo seguiva e il buon Xherdan era costretto sistematicamente a guidare l'azione mettendosi in proprio.
Se escludiamo la sfida dei quarti di finale di Coppa Italia Inter-Sampdoria del 22 gennaio, dove il numero 91, oltre alla rete segnata nel secondo tempo, ammutolisce San Siro con le sue giocate (il titolo principale della Gazzetta dello Sport del giorno dopo sarà "E' già ShaqInter"), il suo breve periodo di gloria alla corte di Thohir coincide col mese di febbraio e l'inizio di marzo. Notevoli le sue prestazioni a Bergamo contro l'Atalanta (nel 4-1 alla dea, un gol, un assist e 3 passaggi chiave) e soprattutto, a Glasgow nell'andata dei sedicesimi di Europa League contro il Celtic. Dove illumina la scena da solo: regista avanzato a tutto campo del 4-3-1-2 nerazzurro che fornisce sempre una linea di passaggio sicura per i compagni, in grado ora di far salire la squadra, ora di verticalizzare il gioco, ora di andare al tiro; segna il momentaneo 0-1 e propizia la terza rete di Palacio con lancio millimetrico.
https://youtu.be/YF8Tmn5e4QM
Quando si dice fare la differenza.
Doveroso citare anche Inter-Fiorentina 0-1 del 1° marzo. Shaqiri parte dalla panchina, sacrificato in luogo di un Podolski inguardabile. Ad inizio secondo tempo la viola passa in vantaggio col solito Salah. Poco più tardi i padroni di casa, dopo aver dormito un tempo abbondante, si rianimano mettendo i toscani con le spalle al muro, nonostante poi non riusciranno a trovare il gol, un po' per sfortuna e un po' per i miracoli di Neto. Questo incredibile risveglio della banda di Mancini inizia, fatalità, con l'ingresso in campo dell'ex Basilea al 65'. Il quale, non solo ha dominato la fascia destra, ma ha anche inventato la bellezza di quattro palle gol.
In queste occasioni descritte si è rivisto lo Xherdan formato Bayern Monaco, dove era approdato nell'estate 2012 dal Basilea per 11,8 milioni, fortemente voluto da Jupp Heynekes. In Germania, chiuso dai mostri sacri Robben e Ribery, ha tuttavia trovato complessivamente poco spazio. In due stagioni e mezzo, durante le quali ha vinto tutto, Champions League compresa, Shaqiri ha collezionato un totale di 82 presenze, 17 reti e 19 assist tra Bundesliga e coppe europee. Un comprimario di lusso, che le volte in cui è stato chiamato in causa ha sempre risposto presente, contribuendo pure lui ai trionfi dei bavaresi.
Pochi (minuti) ma buoni.
A Monaco lo chiamavano "The shark", ovvero "lo squalo", per la sua esplosività, oltre che per la sua spiccata abilità nel galleggiare tra le linee e tagliare come il burro le difese avversarie. Assurda poi la potenza del tiro, come del resto la maestria nel dribbling stretto. E nemmeno sotto la guida di Guardiola, uno che non ha mai amato i giocatori poco ligi al suo calcio di posizione, il ragazzo di Gjilan ha sfigurato.
https://youtu.be/tvXakNsBBSQ
Shaqiri sinonimo di esplosività.
Anche i numeri sono dalla sua. Dati Squawka.com alla mano, il rendimento statistico del nostro beniamino nel 2012-'13 (quella cioè in cui ha giocato di più), oltre a non discostarsi molto da quelli di Robben, sovrasta nettamente quelli dell'ultimo Ivan Perisic, salvo colpi di scena il suo prossimo sostituto all'Inter. Detto che il croato rispetto allo svizzero è più alto (1 ,87 m vs 1,69), agisce prevalentemente sulla fascia sinistra e, piuttosto che smarcarsi tra le linee, ama ricevere il pallone largo, per poi entrare dentro al campo appoggiandosi sulla punta o con un doppio passo sul diretto avversario, va segnalato come il suo score in chiave offensiva risulti marcatamente inferiore. Diversa è la musica a livello difensivo, dove Perisic dimostra un altro spessore (1,04 a 0,42 gli intercetti, 1,25 a 0,15 i rinvii difensivi, 2,58 a 0,19 i duelli aerei vinti).
Tratto da squawka.com, uno dei portali più belli per i malati di numeri.
Ad ogni modo, nessuno mette in dubbio che l'ala sinistra del Wolfsburg, sempre elogiato dal connazionale Kovacic, sia un ottimo giocatore. Ma sacrificare un talento puro come l'ex Basilea per lui, oggi come oggi, è una pazzia.
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