
- di Alberto Paternò
Montella e Inzaghi, quando il bomber diventa mister.
Giovani allenatori, Vincenzo Montella alla Fiorentina e Filippo Inzaghi al Milan contribuiscono a portare una ventata d'aria fresca in Serie A. Un po' "viziata" la ventata del milanista, esaltante quella di Montella. Entrambi provano che anche gli attaccanti possono diventare degli ottimi allenatori.
L'allenatore italiano, fine tattico, sempre ben vestito a bordo campo, è un archetipo del calcio mondiale, che esercita un fascino innegabile. E se il personaggio rimane significativo è perché dei nuovi rappresentanti emergono regolarmente, per mantenerne aggiornata la figura.
Oggi la generazione dei Lippi, Capello e Trapattoni porta avanti remunerativi ultimi combattimenti, in paesi esotici. I loro eredi, Ancelotti, Prandelli e Spalletti hanno spezzato l'immagine che guidava il calcio italiano fin dai giorni gloriosi del catenaccio e si sono visti affidare numerose squadre protagoniste in Champions League.
Tutti questi però furono principalmente calciatori "gregari", che hanno attirato poca attenzione e che non hanno necessariamente brillato ai più alti livelli. D'altronde è ancora il profilo dominante nell'attuale generazione di allenatori della Serie A: Max Allegri, abile pilota di grandi cilindrate, prima Milan poi Juventus; Walter Mazzarri, proselito del 3-5-2, prima al Napoli, poi all'Inter e ora sul divano di casa sua; Stefano Pioli che cerca di confermare e rilanciare alla Lazio il gioco brillante dei suoi esordi con il Chievo Verona; o Andrea Mandorlini che ha condotto l'Hellas dalla Lega Pro fino alla media borghesia della serie A.
Un esempio in antitesi sarebbe Donadoni, prima famosa ala del Milan di Sacchi e ora allenatore al parchetto dietro casa della fu squadra del Parma, passando per una precoce esperienza in Nazionale, anch'essa negativa. Successi che gli hanno valso l'appellativo di "Menagramo" (Cassano docet).
Ma la vera eccezione è Roberto Mancini, che può essere considerato il vero "precursore" del fenomeno di cui stiamo parlando e che potremmo posizionare a cavallo tra la seconda e la terza generazione di allenatori.
È quindi tra i più giovani che spiccano due figure che hanno brillato anche a livello internazionale: Filippo Inzaghi e Vincenzo Montella, le cui traiettorie sono sorprendentemente simili. Da giocatori entrambi occupavano la parte più avanzata del palcoscenico, grazie anche ai numerosi gol che li rese universalmente etichettati con l'abusato termine di bomber. Non erano però i più impressionanti, sul terreno di gioco, a livello fisico tanto meno tecnico. Doveva esserci dunque qualcos'altro. Qualcosa che ha permesso loro di vestire i panni del mister.
Al momento del loro ritiro (2009 Montella, 2012 Superpippo), i due centravanti sono rimasti fedeli ai club delle loro grandi imprese, convertendosi in allenatori delle giovanili. L'aeroplanino è il primo a "saltare la staccionata" e gli vengono affidati i Giovanissimi della Roma (Under 15). Ma già nella stagione seguente esordisce alla guida della prima squadra, per prendere in mano dal 21 febbraio 2011 il timone fino a quel momento guidato da Ranieri e portare la squadra in porto. Finisce la stagione egregiamente, rilanciando il suo caro amico Francesco Totti. Malgrado ciò, la nuova dirigenza della società non gli permette di continuare a brillare nella capitale anche l'anno seguente, tutti intenti a seguire la follia barcellonese assumendo il bidonazzo Luis Enrique. Montella resta comunque in serie A, a Catania, ai quali fa vivere una dei campionati più gloriosi della sua storia: 48 punti e 11° posto in classifica.
Un'esperienza che gli vale la fiducia della Fiorentina, dove nel 2012 inizia la sua terza annata in panca. Al suo arrivo, dimostra ancora una volta la sua capacità di disegnare squadra che sa giocare bene, sulla base del trio di centrocampo (Pizarro, Aquilani e Borja Valero), senza un vero interditore in un 3-5-2 immediatamente convertibile in 4-3-3 quando sui lati Pasqual e Cuadrado si allineano rispettivamente in difesa e attacco. Dopo un quarto posto piuttosto inaspettato, il club è ancora più ambizioso. Il tecnico quindi moltiplica gli esperimenti per mettere in campo al meglio i suoi giocatori decisivi (soprattutto Cuadrado, visto che Giuseppe Rossi si imbatte nuovamente in un terribile infortunio), ma perde un po' la fluidità nel gioco. Questo non permette alla squadra di migliorare la classifica finale, e l'opportunità di vincere un trofeo va in fumo nella finale di Coppa Italia. Obiettivi che per ora restano d'attualità anche per questa stagione.
Da parte sua, SuperPippo ha esteso la sua carriera fino a 39 anni, in seguito alla quale è diventato prima allenatore degli Allievi del Milan (Under 16, stagione 2012-'13), poi della Primavera (Under 20, 2013-'14). In estate è scoccata l'ora del grande salto. Clarence Seedorf, suo predecessore sulla panchina rossonera nonché suo ex compagno di squadra, aveva un po' sperimentato su vari fronti, mentre Inzaghi si è mostrato subito chiaro. La sua formazione non offre un gioco spumeggiante come quella di Montella, ma l'allenatore milanista si dimostra molto pragmatico nella gestione. Nella miseria del diavolo d'inizio stagione, ha principalmente liberato e responsabilizzato Honda e Menez, col giapponese all'alba di questo 2014-'15 determinante con quattro gol e due assist nelle prime sei partite. Mentre l'ex parigino è stato soprattutto posizionato sull'asse centrale solo come falso nove o accoppiato in una specie di "mezzo nove" (per semplificare, seconda punta) risultando, almeno a sprazzi, altrettanto decisivo. Ad un certo punto però la situazione è cambiata completamente rendendo ancora difficile una gestione che si basava sulla fiducia della squadra e sulla falsa coscienza di essere una grande squadra. Torres non è mai decollato, finché non è stato ceduto e in compenso sono arrivati un Cerci quasi inutilizzato e Destro, a cui forse Inzaghi non sta dando il giusto spazio, che nelle ultime partite è stato sostituito da Pazzini. Il quale invece nella prima parte del campionato non hai mai visto il campo.
Né la Fiorentina, tanto meno il Milan hanno avuto le forze adatte a tenere il passo della Juventus, ma neanche dell'opaca Roma. Ma entrambi gli allenatori hanno il merito di seguire una direzione ben precisa alla quale i propri giocatori aderiscono pienamente. Questi giovani quarantenni sono anche la riprova che le risorse del mister possono essere sviluppate anche da attaccanti, che apparentemente hanno successo sulla base di doti individualistiche. Montella resta sicuramente molto più avanti, con un registro tecnico e tattico decisamente più ampio, ma Inzaghi, che da mesi si trova nel ciclone della mediocrità, come quando era un giocatore, riesce a compensare la sua inesperienza e le sue ancora acerbe conoscenze, con un approccio mentale e psicologico, a cui ha anche dedicato la sua tesi a Coverciano.
La carriera ha fatto sviluppare loro un senso di gioco, che permette tuttora di ridurre il gap con allenatori ancora più dotati. E' questo quel qualcosa in più che aveva permesso a entrambi di diventare gli attaccanti più prolifici tra gli anni '90 e 2000. Ed è questo che nonostante il disastro milanista e la perenne promessa viola fa venir voglia di credere in un futuro luminoso per entrambi in questa nuova veste da allenatori, con il tipico stile italiano.
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