
- di Baluardi del calcio popolare
I Baluardi del Calcio Popolare: l'Arbitro è cornuto, firmato Cassano
31 maggio 2003, finale di ritorno di Coppa Italia tra Milan e Roma. Palla lunga per l'allora giallorosso Antonio Cassano, che non ci arriva anche perché sbatte contro il roccioso Martin Laursen. Cassano si alza, vuole il fallo, arrabbiatissimo va contro l’arbitro Rosetti, gli punta il dito in faccia, lui lo espelle. Quello che succede dopo è la materializzazione del sogno di ogni tifoso di pallone e non solo. Mentre esce dal campo l'attaccante barese fa il gesto delle corna. Arbitro cornuto è l’assunto di ogni tifoso di calcio, la prima regola del calcio che insegni a tuo figlio, a tuo nipote, al tuo cuginetto al bambino che guarda la partita per la prima volta. Su questo non si scappa e Cassano ha avuto l’ardire di dirlo e mostrarlo ad uno degli migliori fischietti italiani. Per questo l'ex romanista merita la stima di tutti i tifosi e gli appassionati di pallone e coglionette.
Antonio Cassano da Bari non è solo questo, è molto di più. E' la povertà che arriva alla notorietà e alla ricchezza, è il tamarro di Bari vecchia che si presenta al Real Madrid con un pellicciotto improbabile, è un ragazzo normale con un dono infinito, quello che tutti o quasi vorrebbero avere: saper giocare a pallone da dio. Cassano con la palla nei piedi ha poca gente davanti a lui, è il fenomeno italiano. Peccato che abbia una testa infinitamente calda.
Tutto parte da quel Bari-Inter, del 19 dicembre 1999, quando Eugenio Fascetti decide di regalarci il nuovo profeta del Calcio italiano, l’ultimo figlio del dio del Calcio. Antonio Cassano stoppa a seguire col tacco un lancio di Perrotta, si beve in un colpo solo Laurent Blanc e Christian Panucci, prima di fulminare Angelo Peruzzi con un destro secco sul primo palo: l’emblema del rottamatore! Non solo, Cassano come Peter Pan sfida Capitan Uncino e lo umilia, anzi ne umilia tre in un colpo solo. Da lì diventa l’astro nascente del pallone italico, talento puro, un 10 tutto fantasia, follia ed ignoranza.
Ha sempre ammesso candidamente di non essere una cima e che l’alternativa a quel Bari-Inter sarebbe stata la delinquenza di strada. Cassano cresce in strada, tra i banchi del mercato, dove gioca per soldi. «Giocavo tra le bancarelle, tutti mi volevano in squadra con loro e scommettevano 10, 15 o 20.000 lire sulla squadra dove giocavo io. Io mica ero trimone, mica ero scemo: volevo il grano io, dovevano darmi la percentuale».
Dopo il Bari la Roma, per 50 miliardi di lire più D’Agostino. Totti e Cassano, delizia per gli occhi, pura estetica del giuoco del Calcio, poesia e prato verde, chi se ne fotte del risultato. A gestire la situazione è Fabio Capello. I due fuoriclasse sono compatibili, la Roma gioca un gran calcio e "Fantantonio" decide diverse partite. Qualcosa però nel 2004 si rompe e se a Roma non sei ben voluto da Francesco Totti, te ne devi andare. L'attaccante pugliese in realtà racconta che nacque tutto da un’ospitata a "C’è Posta per Te" di Maria De Filippi. Il cachet non venne diviso equamente tra i due, al che il capitano giallorosso si risentì. Per quello e per il fatto che Antonio stava cominciando a rubargli la ribalta. Accanto al nome di Totti c’era sempre Cassano, a volte anche prima. In nazionale (clamoroso il suo exploit agli europei del 2004) come in serie A, sono tutti pazzi del gioiello di Bari vecchia. Lui decide allora di litigare bene bene anche con Luciano Spalletti, che intanto ha preso il posto di Capello in panchina. «Mica stai allenando quelle schiappe che avevi all’Udinese, questa è mica casa tua, è casa mia». Cassano ha le valigie in mano e nel gennaio del 2006 il Real Madrid di Fabio Capello decide di portarlo in Spagna.
Si presenta al Bernabeu sovrappeso e con un giubbotto iper tamarro. Il buon giorno si vede dal mattino e quella stagione effettivamente va davvero male. Fantantonio nel giro di qualche mese diventa l'imitatore di Capello, cosa intollerabile per don Fabio. L’aneddoto più bello della sua esperienza a Madrid rimane questo: «A Madrid era ancora più facile (fare sesso in ritiro ndr), perché eravamo in albergo, tutti sullo stesso piano, così sopra e sotto potevi invitare chi volevi e raggiungerla nel cuore della notte. Avevo un cameriere amico. Il suo compito era portarmi 3 o 4 cornetti dopo aver trombato. Portava i cornetti sulla scala, io accompagnavo quella là e facevamo lo scambio: lui prendeva la tipa, io mi sfondavo di cornetti. Sesso più cibo, la notte perfetta».
Estate 2007: è giunto il momento di andarsene da Madrid, il rapporto col tecnico di Pieris è definitivamente deteriorato: «A Tarragona mi fa scaldare per tutto il secondo tempo con Ronaldo. Nello spogliatoio gli dico “sei un uomo di merda, sei più falso dei soldi del monopoli"». Si trasferisce quindi alla Sampdoria, dove sarà destinato a rimanere nel cuore dei tifosi doriani, nonostante gli alti e bassi, soprattutto psicologici. Non riesce a gestire la rabbia, soprattutto nei confronti degli arbitri.
La sua essenza è racchiusa tutta in questo episodio. Marzo 2008: la Sampdoria gioca contro il Torino, Cassano segna il gol del 2-2 ed esulta spaccando la bandierina. L’arbitro Collina lo ammonisce la prima volta. All’87’ fallo su Comotto e secondo giallo, Cassano ha una crisi di nervi. Piange, insulta l’arbitro in tutti i modi, si pente, chiede scusa allo stadio intero ma non va negli spogliatoi, rimane a bordo campo a minacciare l’arbitro, dicendo “io ti aspetto qui”. L’irrazionalità che ha la meglio sulla razionalità e sul genio, il suo più grande punto debole, da sempre. Per questo non entrerà mai nell’Olimpo del Calcio, ma resterà davanti al cancello.
Il talento però è infinito e la coppia Cassano-Pazzini fa perdere uno scudetto alla Roma e arrivare i blucerchiarti in Champions, anche se dopo i preliminari retrocederanno in Europa League. Ma quando scattano i 5 minuti al Pibe de Bari sono dolori per tutti, anche per il presidente Garrone. Cassano viene insignito di un riconoscimento prestigioso. Lui però di presentarsi alla premiazione non gli va proprio. Garrone chiede di andarci comunque, di fargli questo favore personale, rimarrà giusto il tempo di ritirare il premio. Cassano insiste, non vuole andare. Garrone gli fa presente che deve essere umile ma Cassano va fuori di testa, insulta ripetutamente davanti a mezzo spogliatoio il presidente, dicendogli addirittura “Vecchio di merda”, come riportano alcuni giornali. É un affronto personale e nonostante le scuse pubbliche di Cassano è tempo di cambiare ancora aria.
Milan, ischemia, rischio di smettere di giocare. In quei giorni io ero quasi in lutto, un fenomeno non può smettere di giocare a pallone così presto e per un male del genere, nello stesso periodo in cui anche Gattuso rischiava di rimanere fuori gioco. Fortunatamente si ripresero entrambi e nonostante lo striscione di pessimo gusto del derby “Occhio non vede cuore non duole”, in estate Cassano si trasferisce all’Inter.
Manda a fare in culo subito il Milan e il rapporto coi tifosi, dicendo che è stato sempre un tifoso nerazzurro. Cassano però non sembra più lo stesso, nonostante ogni tanto si riaccenda in lui il genio.
Arriva a Parma a 31 anni. Anche stavolta in sovrappeso, dopo due anni difficili, in cui ha rischiato di smettere di fare l’unica cosa che sa fare: giocare a pallone. Dimagrisce, si attacca la testa alle spalle, sembra più maturo, ha una figlia, niente più “cassanate”. Arrivano i risultati: 6° posto, 12 gol e 7 assist. Adesso sappiamo tutti come stanno le cose: a gennaio Cassano ha rescisso, perché senza stimoli, senza 7 mesi di stipendi. Non era più libero di giocare come ai tempi del mercato di Bari e prendeva la percentuale sulle scommesse: ha un conto aperto col destino. «A oggi mi sono fatto 17 anni da disgraziato e 9 da miliardario. Me ne mancano ancora 8, prima di pareggiare», diceva qualche anno fa.
Ah dimenticavo di citare: «Ho sempre detto di no alla Juventus: mi hanno cercato tre volte, ma io non voglio andarci perché loro vogliono dei soldatini che vanno diritto, ed io invece voglio girare a destra o a sinistra, uscire dai binari se ne ho voglia». Viva Antonio Cassano, Sempre!
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Matteo Enia 2/6/87 (quello col cappello) Antropologo, si interessa di fenomeni sociali legati al mondo pallonaro. In campo si ispira a Giulio Migliaccio. Si auto definisce un Baluardo del Calcio Popolare. Locrese di adozione, quando è in Calabria segue attivamente il campionato di promozione calabrese sostenendo L'ac Locri 1909, tra le squadre professionistiche sostiene il Palermo. Vive e pensa a Roma. Francesco Tromba Sostiene da sempre le squadre di provincia. Da piccolo guardava tutto il calcio presente in tv anche posticipi come Spal-Pro Vercelli. É da sempre dalla parte del più debole, del più matto, del più strambo. L'ombrello di Luca Bucci è un gesto di Redenzione totale. No al calcio moderno, sì ai Baluardi del Calcio Popolare!
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