C'era una volta Fernando Llorente
Presunto bidone, sontuoso re leone, goffo Don Chisciotte. È la desueta parabola di Fernando Llorente in questi 18 mesi di Juventus. Un lungo periodo di rodaggio (e di paziente attesa da parte di Antonio Conte), seguito da un crescendo rossiniano e sfociato in questa prima sbiadita metà di stagione. 18 gol nel primo anno in bianconero, appena 5 in quello in corso. E dire che spirito di sacrificio e lavoro sporco per i compagni non fanno mai difetto nel suo borsino. Ma cosa c’è quindi dietro questa involuzione a livello realizzativo? Al di là del ritardo di condizione palesato nelle settimane iniziali, probabilmente il passaggio dal 3-5-2 al 4-3-1-2. Che lo sta rendendo un elemento poco funzionale in questo nuovo abito che Max Allegri sta cucendo addosso alla vecchia signora.
Analizzando le reti messe a segno dal centravanti navarro nel 2013-‘14, si nota facilmente come esse siano scaturite quasi esclusivamente da colpi di testa (o al limite tocchi al volo) a finalizzare azioni laterali o calci piazzati. Il problema per l’ex Bilbao è che il cambio di modulo imposto dal tecnico livornese in pianta stabile dal match casalingo di Champions League contro l’Olympiakos ha fatto virare ulteriormente la squadra verso un fraseggio palla a terra, determinando una riduzione del numero dei traversoni, opzione già di per sé poco gettonata pure nell’era Conte. Non è un caso infatti che i campioni d’Italia, considerando il computo totale dei passaggi eseguiti in questo campionato, siano primi come percentuale nella classifica dei corti (86%) e ultimi come cross ex aequo con la Roma (3%, il restante 11% è costituito da passaggi lunghi). Questo perché giocando a 4 dietro, i terzini devono offrire maggior copertura al duo centrale e allo stesso tempo percorrere più campo per andare sul fondo.
Il gioco sciorinato da Pogba e soci in effetti prevede una manovra che si sviluppa dalle retrovie, con Pirlo che si abbassa tra i due centrali (la famosa salida lavolpiana, brevettata dall'allenatore Ricardo La Volpe), i due terzini che si alzano, ed il regista arretrato (uno dei centrali difensivi oppure lo stesso Pirlo) ad imbeccare un interno, o eventualmente il trequarti che si abbassa a centrocampo. Come del resto Tevez, che anziché raccogliere la sponda di Llorente (motivo piuttosto ricorrente la passata stagione) sovente scende tra le linee, preferibilmente sul lato forte. Va da sé quindi che il lancio lungo sulla figura per il numero 14 sia diventato non una chimera, ma comunque una strada secondaria, battuta specialmente in caso di emergenza. Tutto ciò non può che tradursi in un minor coinvolgimento nella produzione offensiva, certificato pure dai numeri: se un anno fa Llorente vantava una media di 24,9 passaggi completati a partita (di cui 1,43 passaggi chiave), col nuovo tecnico la media è scesa a 21 netti (appena 0,8 quelli decisivi). Ancor più eloquente la statistica relativa ai tiratori bianconeri, che vede lo spagnolo relegato addirittura in quinta posizione (prima di lui Tevez, Pogba, Vidal e Marchisio) a quota 26 conclusioni effettuate in 1589 minuti, contro le 63 in 3085’ dell’ultima annata.
Statistica a maggior ragione impietosa se si considera che il suo competitor in attacco, ossia Alvaro Morata, ne ha scoccati 17 in appena 694’. Ma nemmeno il prodotto del Real Madrid ha inciso più di tanto nell’economia bianconera: certo, dalle sue giocate sono sgorgati talento e voglia di spaccare il mondo, eppure anche lui sta faticando a digerire questo sistema di gioco. Perché la maggior mobilità rispetto all'attaccante nato nel 1985 mal si coniuga coi movimenti di Tevez. In più di una circostanza infatti è capitato che l’apache e l’ispanico si abbassassero contemporaneamente per ricevere la palla, lasciando così l’area sguarnita.
Col senno di poi, una prima punta in grado di attaccare la profondità, avrebbe fatto parecchio comodo. Magari un tipo alla Ciro Immobile...
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