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- di Marwan Hammami

Torino, la squadra fantasma

 

Ci sono squadre che entrano nella storia e altre che ci finiscono. Ci sono poi alcune squadre che la scrivono. È il caso quest'ultimo del Torino football club. La squadra italiana, nell'immediato secondo dopo guerra, più forte di tutti i tempi. Almeno a detta di molti.


Una formazione che però nel 1949 si schiantò, a causa di una fitta nebbia, contro il muraglione del terrapieno posteriore della basilica di Superga. Nebbia, ecco, nebbia. Proprio il termine da cui vogliamo partire. Oggi il Toro è una squadra senza identità. Annebbiata, appunto. Senza un obiettivo particolare da raggiungere. Eppure i granata hanno ben sette scudetti. Sì, avranno anche scritto la storia, ma ciò per cui il sottoscritto li riconosce oggi sta nel piattume in tutto ciò che fanno. Dalle operazioni di mercato, al gioco, passando per l'allenatore e il presidente. L'unico ambito in cui giganteggiano tuttora è il pubblico, capace ancora di far sentire la voce della vera squadra del capoluogo piemontese, il Torino, non certo la Juventus. Quest'anno sono partiti Immobile e Cerci. I problemi sono due: il primo è che questi giocatori se ne sono andati via nel più inquietante silenzio, il secondo è che i sostituti non sembrano, almeno per ora, all'altezza dei due predecessori. Chi è arrivato? Amauri, 34 anni. E Sanchez Mino. Buon elemento sì, ma non basta. Quagliarella è l'unico nome che potrebbe far accendere, ma non troppo, le fantasie dell'immaginario collettivo. Ok, ma chi è Fabio Quagliarella? Un cavallo di ritorno (trafila nelle giovanili, più 4 anni di prima squadra, 39 presenze e 7 gol), ma soprattutto uno scarto di quella che qualche campionato fa (un bel po' di campionati or sono, a dire la verità), era considerata l'altra squadra di Torino, cioè la Juve. Non che il napoletano non sia un ottimo giocatore, anzi. Ma per muovere il cuore delle persone serviva altro. La perdita di identità di cui si sta parlando sta proprio qui. Cairo, il piatto presidente, è l'uomo che è stato capace di vendere (bene) il capitano granata, Ogbonna, alla Juventus, ripeto per chi non avesse capito, la Juventus. È stato lui l'artefice della retrocessione del 2009 e del conseguente triennio in B, e non i vari allenatori che si sono susseguiti. E se si vuole parlare del tecnico si passa dalla padella alla brace. Ventura, personalmente un ottimo mister, non è riuscito a dare un'anima ben definita a questo gruppo, anzi, anche lui, un integralista del 4-4-2 o del 4-2-4 che dir si voglia, si è omologato allo schifo della Serie A con quell'orrendo modulo, il 3-5-2 o meglio, per chiamare le cose con il loro nome, CINQUETREDUE. Non riuscendo più a mostrare un calcio gradevole, talvolta addirittura sgradevole. In tutti i programmi televisivi pallonari c'è un riferimento al Torino. D'accordo, ma a quello veramente grande, che evidentemente non è quello del 21° secolo. Dispiace, a prescindere dalla fede calcistica, vederlo buttato in questa condizioni. Dispiace vedere un piatto Torino che non riesce a battere una più che brutta Inter, o che rischia di uscire contro il team più scarso di Spalato, l'RNK. Dispiace, perché chi ama il calcio è affezionato al Torino a priori. A quello di Valentino Mazzola, non certo a quello piccolo di oggi.

 

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