
- di Michele Bosco
Analisi delle 32: Iran
Se si sta leggendo un articolo di presentazione sulle squadre qualificatesi ai Mondiali e fra queste c’è l’Iran, un Paese che respira calcio dove la stampa è molto insistente ed il pubblico difficilmente perdona una sconfitta, è per merito del carisma, delle “visioni” e del coraggio delle scelte di Queiroz. Spesso controcorrente.
In arabo, almeno sul piano fonetico, il passaggio dall’inferno al paradiso è piuttosto semplice: l’Eden, il giardino, si chiama “Janna” e somiglia a qualcosa sotto la quale scorrono i fiumi. Un po’ come la verde Curitiba, la città lambita dal fiume Iguaçu, sede dell’esordio iraniano a Brasile 2014, contro la Nigeria, il prossimo 17 giugno.
QUEIROZ
Amore e Odio. Questo il concetto che riassume il rapporto tra il tecnico e i vertici calcistici nazionali. “Amore e Odio” che hanno origine nel progetto di scouting al quale si è dedicato per mesi: cercare in giro per il mondo calciatori di nazionalità iraniana, cresciuti lontano dall’Iran, e convincerli a seguirlo con una frase che suona più o meno così: «Non importa da quanto tempo vivi lontano. Se ami la tua patria, devi giocare per lei. Per nessun’altra».
Dell’esperienza di Queiroz (portoghese nato in Mozambico, ex Real Madrid e Portogallo ma con esperienze anche in Giappone, Usa, Emirati Arabi, Sudafrica) alla guida del “Team Melli” (Melli significa Nazionale in “farsi”) colpisce quel modo sanguigno con cui carica calciatori e ambiente nei momenti cruciali.
A Ulsan, subito dopo aver battuto la Corea del Sud conquistando la matematica certezza della qualificazione, ha rivolto al tecnico avversario Choi Kang-Hee un gesto inequivocabile. Il giorno successivo si è presentato a colazione con una foto dell’allenatore avversario attaccata al petto.
Recentemente il tecnico lusitano ha ribadito come «il Mondiale sarà la nostra Mission Impossible», e che «andiamo in Brasile con una sola cosa in mente: qualificarci alla seconda fase. Lo so non è realistico. È fantasia, non è per nulla razionale.»
I rapporti con la Federcalcio e il Ministero dello Sport e della Gioventù, poi, non sono idilliaci: la mancanza di fondi ha reso necessario cancellare un camp previsto in Portogallo a settembre 2013, e a effettuarne uno in Sudafrica ad aprile a ranghi ridotti. Famosa, inoltre, la querelle con la Uhlsport, lo sponsor tecnico, reo di aver inviato per il ritiro sudafricano, che sarebbe dovuto durare tre settimane, un’unica tuta d’allenamento per giocatore, nonché divise contate per le qualificazioni alla Coppa d’Asia; per questo motivo, a sentire Queiroz, nella gara contro il Libano ha dovuto lasciare in tribuna un calciatore che aveva lanciato al pubblico la sua maglia al termine del match precedente.
Il tecnico portoghese ha anche boicottato la cerimonia di presentazione delle maglie per il Mondiale, per le quali sembra previsto lo stesso tipo di “centellinamento”.
“TRE ANNI DI VIAGGIO VERSO L’INFERNO”
Il cammino di qualificazione dell’Iran, al Mondiale brasiliano, sta tutto in sei parole del suo allenatore: «Tre anni di viaggio verso l’inferno». L’inferno islamico si chiama Jahannam, è il luogo al quale sono destinati, nel Corano, i peccatori.
E’ improbabile, però, che Queiroz volesse dissertare di teologia: magari si riferiva solo al percorso che ha portato l’Iran a qualificarsi a “Brazil2014”, che a metà strada s’era fatto complicato per via d’un pareggio in Qatar e una sconfitta in Libano; o forse alle difficoltà che ha riscontrato nel relazionarsi con la Federcalcio, lo sponsor tecnico, gli stessi calciatori.
In un’intervista successiva ad una sconfitta con l’Uzbekistan, da cui l’Iran era stato appena scavalcato perdendo allo stadio Azadi di Teheran, dichiarò come non ci fosse alcuna possibilità di qualificarsi giocando con soli calciatori militanti nel proprio campionato. E sottolineò la necessità di giocatori che avessero esperienza europea. “È il mio progetto, la mia visione, lo faccio per il bene del Team Melli. Se a qualcuno non va bene non sono affari miei, non più”, concluse.
IRANIANI IN EUROPA ED “EUROPEI IRANIANI”
L’Iran che volerà in Brasile è la selezione Nazionale con in assoluto il maggior numero di calciatori che giocano fuori dai confini. Se includiamo nel conteggio Ali Karimi (oggi al Persepolis ma con un passato anche abbastanza importante nel Bayern Monaco) e il capitano Javad Nekounam, goleador che gioca in Kuwait dopo un periodo trascorso all’Osasuna in Spagna (e che ha rischiato la radiazione nel 2009 per essere sceso in campo insieme ad alcuni compagni con la fasciatura verde, il simbolo dei contestatori di Ahmadinejad), dei 28 pre-convocati di Queiroz ben 10 sono il risultato di un’evoluzione calcistica, di un magma creatosi lontano da Tehran sul quale il tecnico ha deciso di surfare.
I CALCIATORI PIU’ RAPPRESENTATIVI
Reza Ghoochannejhad ha un cognome problematico, per questo i tifosi l’hanno ribattezzato Gucci, o anche RPG7 (che poi è anche il nome di un bazooka). A otto anni si è trasferito in Olanda, i genitori volevano diventasse un violinista. Si è fatto tutta la trafila delle Nazionali minori oranje e undici anni di giovanili dell’Heerenveen, al termine delle quali ha esordito in Eredivisie. Ventunenne ha deciso di mollare il calcio per concentrarsi sugli studi e laurearsi in giurisprudenza e scienze politiche alla Vrije Universiteit di Deventer. Qualche settimana dopo gli è capitato di incontrare per le strade della cittadina universitaria Marc Overmars, all’epoca nello staff tecnico dei locali Go Ahead Eagles. Overmars si ricordava d’aver visto giocare Reza nella sua stessa posizione e gli ha confessato, parlando di sé in terza persona come solo i grandi fanno: «nei tuoi movimenti c’è qualcosa del giovane Overmars». Così l’ha convinto a tornare sui propri passi; a patto che gli fosse concesso poter lasciare gli allenamenti un quarto d’ora prima per andare all’università. A gennaio di quest’anno è passato dallo Standard Liegi al Charlton in Premiership, dove ha segnato un solo gol in mezzo campionato.
Gucci è la più riuscita incarnazione del processo di inserimento di iraniani d’Europa all’interno del Team Melli; ha raccontato che Queiroz, dopo averlo lungamente seguito, l’ha chiamato al telefono dicendogli: «Giocare per il tuo Paese, se ami l’Iran, dovrebbe essere un onore. E io credo che potresti aiutarmi. Se ti senti di indossare la maglia, se credi di avere abbastanza orgoglio per indossarla, allora richiamami». «Non c’è bisogno che ti richiamo. Ti dico sì su due piedi», sembra gli abbia risposto.
Nelle 11 presenze con la Nazionale è andato a segno 9 volte: 7 nelle ultime 7 partite.
Ashkan Dejagah si è trasferito a Berlino da Tehran quando aveva soltanto un anno; attualmente è in forza al Fulham, dopo essere cresciuto nell’Hertha ed esploso nel Wolfsburg. A sedici anni ha acquisito la cittadinanza teutonica, e risposto alle convocazioni per tutte le Nazionali minori, fino all’Under 21 (sull’avambraccio ha persino un tatuaggio che recita: «Deutschen Macisten 9»). Nel 2009 la Germania era impegnata in una gara contro Israele a Tel Aviv, Dejagah si è rifiutato di prendere parte alla spedizione adducendo «ragioni molto personali», «ragioni politiche». Dalla rivoluzione in avanti, il governo iraniano ha sempre proibito ai suoi atleti di viaggiare e di misurarsi con gli israeliani, punendo i reprobi con sanzioni dure, fino alla detenzione. «Lo sanno tutti che sono tedesco-iraniano. Ho più sangue iraniano che tedesco nelle vene, lo faccio per una forma di rispetto. E poi non ho niente contro Israele; solo non voglio avere problemi quando tornerò in Iran». L’inserimento di Dejagah nel Team Melli è stato brillante, quasi quanto quello di Gucci.
Daniel Davari è nato in Germania da padre iraniano e madre tedesco-polacca. Delle tre nazioni per le quali avrebbe potuto difendere la porta ha scelto quella iraniana; contro la Guinea ha dimostrato di essere tutt’altro che una sicurezza.
William Atashkadeh ha vent’anni ed è nato in Svezia da genitori iraniani. Il problema è che lui non è mai stato in Iran, e che non parla neppure il farsi. Eppure Queiroz non si è fatto scrupoli a convocarlo (sebbene non sia rientrato nei preselezionati per il Mondiale), perché in primis è la coerenza di una visione, a dover essere rispettata; costi quel che costi, anche schierare sulla fascia destra di difesa, se del caso, un americano. E no, non è un’iperbole.
PROSPETTIVE
È complicato capire come Queiroz schiererà la propria squadra in Brasile, visto che a distanza di nove mesi dalla qualificazione, l’Iran ha disputato soltanto altre tre partite.
Tra i pali per tutte le qualificazioni ha giocato Ahmadi, ma non è da escludere che il titolare in Brasile possa essere l’oriundo Davari. In difesa la diga dell’Esteghlal composta da Khosro Heydari, Amir Sadeghi e Hashem Beikzadeh dovrà liberare un posto, probabilmente a destra, a Beitashour. Montazeri e Hosseini si candidano per blindare la zona centrale.
A centrocampo attorno a Nekounam vedremo probabilmente le ali Masoud Shojaei del Las Palmas e Alireza Jahanbakhsh del NEC Nijmegen, mentre più avanti potrebbero esserci Teymourian o Khalatbari.
In attacco sembra scontato il tandem Dejagah-Gucci, sempre che non venga lanciato nella mischia il Messi iraniano Sardar Azmoun, giovanissimo del Rubin Kazan che sembra interessare Arsenal e Barcellona, magari proprio contro l’originale, in un pomeriggio assolato, nella canicola di Belo Horizonte…
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