
- di Michele Bosco
I Paradossi di Napoli, del Napoli e la stampa partenopea
Televisioni, radio, quotidiani, riviste, social networks. E tanto altro. Ci sarebbe da chiedersi di cosa si parlerebbe a Napoli se non esistesse il Napoli.
Se si vince, tutti felici a tessere le lodi degli eroi. A pubblicare foto e video della grande impresa o delle più stravaganti esultanze.  Se si perde, ognuno sente l’esigenza di commentare, di sentenziare. Di spiegare perché non è andata bene e cosa si dovrebbe fare per tornare a vincere.
Amando scrivere, leggo molto. E nell’era del web 2.0 è diventato semplice, oltre che economico, accedere a contenuti di ogni genere. Con l’avvento dei “social” è ormai facilissimo imbattersi in conversazioni di ogni tipo, che spesso coinvolgono gli stessi autori, i giornalisti, che con i loro articoli diventano oggetto di discussione smodata. Probabilmente ci sarebbe da fare una distinzione tra tifosi e giornalisti. E’ d’obbligo, però, usare il condizionale. Perché l’era di internet ha azzerato le sfumature, messo tutti sullo stesso piano.
E’ diventato facile, forse troppo, atteggiarsi a comunicatori di professione. Dimenticando spesso le responsabilità che si hanno quando si interpretano certi ruoli. Nel bene e nel male.
Qui nasce l’argomento di discussione, il paradosso. Ovvero su cosa sia giusto argomentare e soprattutto su come farlo, per chi ha l’onore e l’onere di sottoporre quotidianamente le proprie idee ad un pubblico sempre più vasto. Indirizzandone ed influenzandone le opinioni.  C’è da chiedersi se un giornalista debba avere una coerenza ferrea e portare avanti un’opinione a prescindere, o se debba cavalcare l’onda degli eventi, salendo online contrassegno su una giostra emozionale di difficile catalogazione.
Probabilmente, come spesso accade, la verità sta al centro. Ma a Napoli, dove è molto complicato trovare equilibrio nel quotidiano, risulta spesso difficile scovare questa via di mezzo. Fazioni ben definite, argomentazioni standardizzate. Conversazioni impostate su posizioni rigide e, frequentemente, mancanza di una visione d’insieme.
Se si parla del Napoli, si notano distintamente i filo societari a prescindere e i “contro” per partito preso. Quelli che “Benitez è un grande allenatore”, e non sbaglia mai, e quelli che “Benitez in Italia non va bene”. Così come gli eterni scontenti del mercato e quelli che sono diventati tutti commercialisti spiegando che “l’attivo di bilancio è la vittoria più importante”, come se i soldi li tirassero fuori di tasca propria.
E poi ci sono altri che, per non far torto a nessuno, passano da un eccesso all’altro senza pudore, verrebbe ironicamente da dire, in funzione del risultato domenicale.
Se tutto questo è normalmente riscontrabile nel tifoso, però, è certamente meno identificabile con i professionisti. Anche perché “verba volant, scripta manent” e spesso si incorre in brutte figure.
Chi rientra nella categoria, affermandolo senza la presunzione di farne parte come molti di quelli che scrivono sul web invece pensano, ha il dovere prima che il diritto di descrivere i fatti, di spiegare quello che succede e dopo, solo dopo averlo fatto, di darne una propria interpretazione e lettura.
Forse, anzi di sicuro, tutto questo è facile a dirsi (e a scriversi) e molto meno a farsi. Perché il primo paradosso è proprio il Napoli in sé, in tutti i suoi elementi.
Questa società ha “recuperato” un foglio di carta in tribunale, l’ha trasformato in una realtà internazionale con i conti in regola. Verissimo. Chapeau. Ma chi può negare che Thoir, ad esempio, investendo in una società con debiti pregressi, abbia un compito un tantino più arduo? Chi può evitare di affermare che De Laurentiis, la cui gestione è stata per alcuni versi perfetta, abbia a sua volta la gran fortuna di essere il presidente di una squadra i cui tifosi accorrono in massa dalla serie C, portando soldi nelle casse societarie dal primo anno, a prescindere da chi indossava la maglia azzurra? Questo conta nell’aggettivare il tifo azzurro che vorrebbe fare l’ultimo step e vincere?
Benitez è un grandissimo allenatore, uno dei migliori d’Europa e del mondo. Ma perché definire falsi tifosi quelli che si permettono, magari dopo una sonora sconfitta, di commentare dicendo che forse qualcosina la si potrebbe tatticamente limare, in alcune partite? Non significa denigrare il mister spagnolo, ma solo esprimere un concetto reale. Che non va deriso alla prima partita vinta. Così come sbaglia chi, quando si perde, non fa altro che affermare quanto giuste fossero state, precedentemente, le proprie critiche.
Andrebbe analizzato tutto con maggiore oggettivitĂ .
La squadra? Semplice. Calciatori fantastici e lacune evidenti in alcuni ruoli. Qualcuno può asserire il contrario? Difficile. E’ un progetto in divenire? Perfetto, ma ad oggi quella appena descritta è la realtà .
Il punto, però, è che oggi come oggi, esistono due schieramenti sempre più marcati. Ognuno pronto a deridere l’altro al momento giusto. Si è persa di vista la cosa più importante, l’unica cosa che conta. L’amore per la squadra, che rispecchia un po’ quello per la propria città .
Se si prendesse atto che il calcio, ed in particolar modo il Napoli, rappresenta un paradosso a prescindere, forse sarebbe più facile valutare le cose in modo obiettivo e costruttivo. Senza pensare, esclusivamente, a cogliere il momento giusto per screditare le tesi altrui. Tanto prima o poi…
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