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- di Jacopo Landi

Serie A. La fiera della mediocrità


 

Ogni maledetta domenica, al di là di tutto, o si vince o si perde. Punto, basta, è tutto qui.

Vedere una Serie A ridotta in queste condizioni, sportive e sociali, fa piangere il cuore se si pensa a quali campioni e a che potere avevamo in nel mondo.

La cosa preoccupante è che nonostante il divario economico che ci separa dal resto d’Europa (e la Francia è sempre più vicina a superarci) siamo sempre stati in grado di dare del filo da torcere in Europa. Sembrava una regola non scritta, negli anni ’90 noi mettevamo i soldi e la Coppa dalle grandi orecchie la sollevavano quegli scippatori dello United o quegli abili strateghi spagnoli che tutt’ora sono ignari che Don Aleandro De la Vega sia Zorro (ed è difficile considerando che ad avere i baffi erano solo lui e il sergente Garcia…o era Ronaldo ultima maniera ?). Comunque, il trend era rimasto lo stesso negli anni a venire con la Premier e la Liga (e successivamente la Bundesliga) a investire milioni e Inter e Milan sollevare coppe e coppette (sì la nuova formula del mondiale del club è meno avvincente del torneo della pignatta organizzato dai messicani nei giardini di Palestro).

Purtroppo da qualche anno a questa parte la crisi strutturale del calcio italiano ha fatto sì che a pochi soldi non corrispondessero scelte di mercato azzeccate e questo ha portato al collasso del sistema.

Da interista, vedere il Milan che è storicamente una squadra dove regnano fantasia e piedi buoni, liberarsi di Pirlo in favore di Flamini e mettere un terzino a fare il trequartista ha fatto male. La testa viaggia sempre un secondo più veloce di chi corre a caso. Allegri è un allenatore mediocre ma soprattutto non è l’allenatore giusto per sposare la filosofia milanista. Con Seedorf siamo tornati a parlare la lingua del gioco del pallone, ora i dirigenti devono tornare a parlare quella del mercato trasferimenti (difesa imbarazzante, e almeno un paio di centrocampisti, oltre a un bomber vero).

L’Inter non sta certo meglio e tra passaggi di società e smobilitamento causa debiti, è riuscita a compiere una serie di “vaccate” che neanche un ubriaco alla guida di una biga. Guarin, Ranocchia, Countinho, gli eroi del Triplete, Branca (io sto con Marco Branca che è stato additato a capro espiatorio ma di questo ne riparleremo), Ausilio, Forlan, il modo barbino in cui è uscita dall’ultima Coppa Italia e avere Mazzarri in panchina. Dio mio…

La Juve è quella che invece sta meglio di tutti e non a caso è l’unica ad avere uno stadio di proprietà. Bilanci in regola e la possibilità di una crescita costante la rendono la candidata più idonea a rappresentare il calcio italiano all’estero nel prossimo futuro, oltre ad essere la squadra che sviluppa, insieme a Roma e Fiorentina (che forte è Cuadrado), il gioco migliore.

La Roma deve ringraziare l’accoppiata Sabatini-Garcia ma dovrà scontrarsi, chissà tra quanto, con lo scoglio dell’abbandono di Totti per sopraggiunti limiti d’età.

Il resto è solo il resto, ed è un resto molto umile: poco bel calcio, ancora meno idee, tanta corsa e nessuna traccia delle nostre vecchie sette sorelle.

Manca progettualità, intelligenza e voglia di fare bene. Quasi tutte le squadra che abbiano vinto tanto non hanno mai puntato sull’assembramento di giocatori quanto su uno zoccolo duro. Il Milan degli olandesi inserì per l’appunto i tre giocatori in un contesto di squadra già formato. L’Inter del Triplete lo stesso e questa Juve idem come sopra. I soldi, per fortuna, non sostituiranno mai il buon senso, l’intelligenza e un po’ di sana furbizia.

Il calcio italiano dev’essere riformato del tutto, un po’ come tutto il Paese (il gioco di parole è voluto). Fino ad allora, se volete vedere delle belle partite di pallone guardate giocare: Real Madrid, Bayern Monaco, Barcelona, Liverpool, Juventus, Chelsea e Roma.

“Il calcio è fantasia e la fantasia non si insegna, esce.” Cit  Diego Armando Maradona.

Fine della fiera. Fine delle trasmissioni.

Per ora.


 

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Nato il 6 aprile del 1988 a Milano figlio orgoglioso di una città che ama con odio. Nelle vene sangue misto che ne fanno un figlio del mondo senza fissa dimora. Tra un gin tonic e un whiskey ben concepito ha consacrato la propria esistenza all’arte della buona musica con De Andrè, Shane McGowan e Chat Baker a strapparsi pezzetti di anima. Il cinema come confessione condivisa. L’amore per la beat generation e per quel mostro di James Dean. Interista con aplomb anglosassone per il gioco più bello del mondo. Crede che verranno tanti giocatori meravigliosi ma più nessuno con la corsa di Nicolino Berti.

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