
- di Gian Marco Porcellini
Il club Italia
I have a dream. Una nazionale gestita come una squadra di club. Una nazionale che non è costretta a ritagliarsi in un anno una decina di giorni scaglionati in 3 occasioni diverse, tra borbottii e polemiche dei club, terrorizzati dall’eventualità di vedersi saccheggiare i roster o peggio ancora restituire giocatori rotti. Una nazionale che si raduna al termine di una serie A magari ridotta a 18 squadre, e che negli anni dispari disputa nel giro di un mesetto tutte le gare di qualificazione ad europei o mondiali.
Un sogno ai limiti dell’utopia, ma proviamo per un attimo a ragionarci sopra. Pensiamo alla serie A 2012-’13 come ad un torneo a 18 formazioni, che anziché il 19 maggio, è terminato il 14 aprile, con le 3 soste dedicate alle nazionali occupate dai 3 turni infrasettimanali. Il tutto ammettendo naturalmente che pure le coppe europee finiscano entro il 20 aprile. Un minimo di relax, poi tutti in campo agli ordini di mister Prandelli per disputare dai primi di maggio i 10 incontri di qualificazione a mondiali o europei racchiusi in 50 giorni. Attorno al 20 giugno, il rompete le righe. Un po’ quello che succede nel mondo del volley e del basket.
I vantaggi? La possibilità da parte del commissario tecnico in quel lasso di tempo di allenare quotidianamente il suo gruppo e lavorare quindi 24 ore su 24 alla costruzione di un organico affiatato e coeso. Insomma, gestire una selezione come una squadra “vera”, senza dover “ripartire da zero ogni volta”, come ha sottolineato lo stesso Prandelli alla vigilia dell’amichevole con la Spagna. Un mese abbondante da sfruttare eventualmente per sperimentare persino qualche soluzione alternativa, visto che giocando mediamente ogni 5 giorni la rotazione di tutti gli effettivi diverrebbe inevitabile. In questo modo si arriverebbe più preparati e consapevoli delle proprie potenzialità alle competizioni estive, rispetto all’amalgama spesso approssimativa figlia dei raduni modalità “toccata e fuga” attuali, che durano una settimana scarsa ad esagerare e che non sempre forniscono indicazioni significative al cittì, costretto talvolta a disegnare un undici inedito o quasi. Ne gioverebbe a cascata il livello dell’evento stesso, qualitativamente più elevato se popolato da rose già testate.
Tutti contenti. Contenti i vari commissari tecnici, contenti pure i club, i quali “presterebbero” i giocatori soltanto a giochi finiti. Giocatori che, in caso di infortuni anche piuttosto seri, avrebbero tutta l’estate per recuperare. E che magari si potrebbero ritrovare per un paio di amichevoli e altrettanti collegiali durante la stagione che conduce ad europei o mondiali. Ne guadagnerebbero così facendo la visibilità e l’appeal della nazionale stessa, che anziché essere seguita col cuore in gola da un intero paese una volta ogni due anni, salvo poi essere snobbata durante il cammino di qualificazione non solo dai tifosi occasionali, ma persino da una fetta di calciofili più accaniti, i quali vivono le gare degli azzurri quasi come un tedioso distacco dalle gesta della propria squadra del cuore, diventerebbe il punto di riferimento attorno al quale raccoglierci e tifare ogni estate. Come una formazione di club. Il club Italia appunto.
Suggestivo, no? Ma andate a dire ai calciatori di rinunciare ad un mese di ferie e agli organi italici ed internazionali di alzare un dito per una volta! Â
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